La vita bugiarda degli adulti, Elena Ferrante


 Titolo: La vita bugiarda degli adulti
Autore: Elena Ferrante
Pubblicazione: E/O, 2019
Pagine: 336

Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta.
 [Incipit]

Giovanna ha 13 anni. E' nata a Napoli alla fine degli anni '70. Vive al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri.

«L’adolescenza non c’entra: sta facendo la faccia di Vittoria».

Questa frase malriuscita, pronunciata a bassa voce dal padre, quel padre leggero e devoto che lei credeva che fosse, rende friabile tutto il precario castello di credenze costruito fino ad allora.
Si insinua il sospetto che i suoi genitori non siano chi dicano di essere, e che le loro parole e i loro atteggiamenti d'affetto non corrispondano al vero. 
L'incontro con zia Vittoria è devastante per Giovanna. La sorella del padre vive in un quartiere industriale, da dove proviene la famiglia paterna a lei finora sconosciuta.
Tutto nella vita della zia è distante anni luce da quello che Giovanna ha vissuto finora: un mondo dove lo scandalo è vanto, la promiscuità è lecita, il linguaggio è esplicito, la sensualità trasuda dai gesti e dai corpi burrosi, l'espansività è libera. 
Una realtà tenuta a debita distanza da quel padre intellettuale che passa le sue giornate nello studio a leggere e a studiare.
Giovanna trova in zia Vittoria l'antitesi alla vita controllata e per bene della sua famiglia. Tutto lì si sta sgretolando, eppure tutto sta avvenendo senza un grido, una parola fuori posto, nell'assoluta apparente civiltà. Sua madre si consuma nel dolore, e Giovanna la osserva con il feroce giudizio dei suoi cinici tredici anni.
In questo silenzioso ma incombente sfacelo, questa giovane donna deve gestire il suo passaggio all'età adulta, la scoperta della sessualità, nuove distanze nelle amicizie. 
Impara a mentire, si incarta nelle sue stesse bugie. Del suo corpo fa un'esperienza viscida:  si offre, si misura, si ritrae. Lo spazio dell'autonomia passa attraverso la solitudine e l'amarezza.
Cerca un posto nel mondo: lo trova, forse, nel platonico innamoramento di un intellettuale in cerca di riscatto (come il padre tutto sommato), che comincia  a dar forma alle sue smanie.
Un romanzo di formazione molto doloroso. Naturalmente c'è questo e molto altro: per esempio ci sono le amiche, Ida e Angela. Ci vorrebbe un saggio per commentarlo  davvero.

Posso dire che da quando ha citato il Rione Alto e San Giacomo dei Capri (terzo rigo), io mi sono sentita a casa. Sono i luoghi dove sono nata e cresciuta. E ho riconosciuto
ogni angolo, ogni strada, ogni quartiere nominato, ogni personaggio e ogni espressione del volto e del volgo. Una scrittura complice con chi quei posti li ha vissuti, difficilmente esportabile agli estranei alla città.

Le loro zie e cugine e nonne erano signore agiate del Vomero, di Posillipo, di via Manzoni, di via Tasso. Io invece collocavo fantasiosamente la sorella di mio padre in una zona di cimiteri, di fiumare, di cani feroci, di sfiammate di gas, di scheletri di edifici abbandonati.

Il divario sociale, che si misura sui quartieri, è una distanza feroce nel modo di sentire e affrontare mondo. Certi modi, certi atteggiamenti, una certa mentalità è collocabile solo lì, nella strada in cui la Ferrante li ha rappresentati.
Ho ritrovato il clima viscido e laido de L'amore molesto, una viscerale carnalità, un compiacimento del dolore, quella sfiducia nella redenzione che lei stessa confessa nell'incipit, una malinconia costante, e la limpida profondità nella scrittura della tetralogia che l'ha resa celebre.

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