Eredità femminili nella Napoli borbonica
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Iniziamo dal principio, dalla donna che pur non essendo mai stata regina di Napoli, fu tuttavia indispensabile per il sorgere della nuova monarchia borbonica. Senza di lei niente sarebbe stato possibile.
Elisabetta Farnese (1692-1766), principessa di Parma e Piacenza, diventa regina di Spagna nel 1714 come consorte di Filippo V di Borbone. Il merito del loro matrimonio si deve al cardinale Giulio Alberoni: egli sapeva perfettamente che Elisabetta non avrebbe portato con sé solo l'eredità del Ducato (e in prospettiva anche il Granducato di Toscana), ma la sua fervida intelligenza e la sua grande ambizione. Tutte doti che il figlio Carlo, il primogenito, erediterà dalla madre.
Quando Elisabetta arrivò in Spagna per il matrimonio, il momento non era dei migliori: la guerra di successione spagnola aveva confermato i Borbone sul trono iberico, ma a caro prezzo: la Spagna aveva perso, tra gli altri, i vicereami di Napoli e Sicilia [insieme a erano i Paesi Bassi, il Ducato di Milano e lo Stato dei Presidi, senza contare lo Stretto di Gibilterra e Maiorca (Trattato di Utrecht, 1713)] e li aveva ceduti all'Austria. In pratica, i Borbone non avevano più quel domini plurisecolare sul Mediterraneo proprio delle dinastie iberiche.
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Elisabetta Farnese (1692-1766) |
Elisabetta Farnese era la seconda moglie per Filippo V: c'erano già due eredi alla corona ( Luigi e Ferdinando avuti da Maria Luisa di Savoia).
Il suo Carlo, che sarebbe nato nel 1716, era il terzo in linea di successione. Di figli Elisabetta e Filippo ne ebbero 7, di cui 3 maschi. L'ultimo, Luigi Antonio, divenne cardinale a soli 11 anni, e sembrava dovesse proseguire su questa strada. Elisabetta non trovò pace fino a quando non sistemò dignitosamente Carlo e Filippo, nato nel 1720.
Di lei si disse infatti che per i suoi figli mise a soqquadro l'Europa.
Grazie ad una spregiudicata diplomazia, riuscì ad ottenere che in caso di estinzione delle linee maschili dei Medici e dei Farnese, qualora si fosse estinta anche la linea maschile del Sacro Romano Impero, il primogenito della Regina di Spagna avrebbe ereditato i Ducati in qualità feudatario dell'Imperatore (Trattato dell'Aia, 1720). La cosa fu possibile solo perché Carlo VI era impegnatissimo nel far accettare la Prammatica sanzione a tutta l'Europa.
Si vociferò anche di un possibile matrimonio tra Carlo di Borbone e Maria Teresa d'Austria: in questo caso il suo potere avrebbe replicato solo quello di Carlo V, quello di un Impero dove non cala mai il sole.
La premessa era necessaria, ma restringiamo il campo, e arriviamo a Carlo.
La sua sfolgorante carriera di regnante inizia come duca di Parma e Piacenza, dal 1545 dominio dei Farnese.
Ha 15 anni quando muore suo zio Antonio Farnese. Il 20 ottobre 1731 Carlo parte da Madrid: approda a Lucca e da lì è ospite a Firenze di Gian Gastone de' Medici.
Avrebbe dovuto rendere omaggio al Papa e all'Imperatore, invece entrò a Parma nel 1732 come se fosse un Duca che non deve inchinarsi a nessuno. Ed è qui che entra in gioco l'eredità di Elisabetta: insieme al Ducato, gli lascia l'immensa ricchezza della collezione Farnese: una collezione che aveva origine dal mecenatismo di Paolo III e che ancora oggi costituisce una delle più preziose in Italia.
E Carlo dimostrò di apprezzarla moltissimo, se, appena subdorò l'ipotesi di dover lasciare il ducato, la portò con sé. Non poteva certo sapere che suo fratello Filippo avrebbe ripreso il ducato nel 1748 ( ma forse non gliel'avrebbe neanche lasciata).
L'occasione della vita Carlo di Borbone la ebbe quando scoppiò la guerra di successione polacca. Fu allora che Elisabetta vide la possibilità per i suo figlio di riprendersi quello che era stato della Spagna, e dunque
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Tazza Farnese, età ellenistica |
avere un posto per il primogenito di tutto rispetto. Nel conflitto che vide fronteggiarsi Austria e Francia, fu il momento per riportare alla Spagna il Regno di Napoli e quello di Sicilia.
Fu infatti Elisabetta a spronare il figlio ad andarsi a prendere "la più bella corona Italia", e sempre sua fu l'idea di "libero regno" di Napoli e Sicilia. Dunque, non fece del figlio un viceré (anche se all'inizio ci fu un po' di confusione, e a Napoli si inneggiava al ritorno degli Spagnoli Filippo ed Elisabetta): fece di lui il fondatore di una dinastia.
C'è da dire anche che l'ultimo viceré austriaco, Giulio Borromeo Visconti, che si arrese senza colpo ferire, aveva fatto man bassa degli arredi del Palazzo reale, lasciandolo in una condizione di abbandono e sfregio.Montaleagre si preoccupò di tutto: con una fitta rete di lettere dispose l'inventariazione dei beni, il passaggio per Piacenza e poi la partenza per Genova, e dunque per Napoli. Qualche perplessità la suscitò solo il passaggio degli arazzi farnesiani, giudicati troppo grandi e in pericolo di rovina.
Una delle passioni di Carlo erano infatti gli arazzi, in particolare quelli di fattura fiamminga appartenuti ad Alessandro Farnese, ma anche alla capostipite Margherita d'Austria. I suoi amati arazzi, ammassati nei magazzini della Reggia di Caserta, alla quale dovevano essere evidentemente destinati, risultano scomparsi già prima del 1799.
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Planisferologio farnese di Bernardo Facini |
Cammei, medaglie, quadri, sovrapporte (quelle di Annibale Carracci copia dei 12 Imperatori di Tiziano eseguite per Paolo III): alla fine di maggio l'intendente generale Bernardino Voschi stimava pronte 80 casse di documenti d'Archivio, 19 con quadri degli appartamenti, 17 con quadri della galleria, 43 con arazzi.
Da Parma Carlo non portò con sì sono la prestigiosa collezione, ma anche 14 bauli di "spezieria", 14 di vari salumi, 15 di pappagalli, canirini , che richiese esplicitamente: è noto che portò con sé dunque tutte le eccellenze, comprese le maestranze gastronomiche.
Una volta arrivati a Napoli, gli innumerevoli oggetti della collezione furono portati a Palazzo reale. Il palazzo esisteva già, costruito nel 1600 da Domenico Fontana per il viceré Lemos.
Carlo prese dimora nelle stanze del Palazzo, che pensava di ristrutturare e ampliare, anche nelle more che arrivasse una sposa. Nel mentre, si faceva arrivare il tesoro dei Farnese, e il tutto era un gran caos. Per farsi aiutare nella sistemazione di quadri e libri che aveva sempre guardato con ammirazione ma che non aveva mai sistemato in prima persona, fece scendere da Parma Bernardino Lolli, già direttore delle Gallerie parmensi. A Bernardino Lolli si affiancò poi il toscano Marcello Venuti, in qualità di direttore del "Museo farnesiano". Da una lettera da lui spedita si evince che i quadri furono sistemati un "piccolo appartamento nuovo" affacciato sul mare. Altro non sappiamo di questa prima sistemazione, se non che faceva inorridire i visitatori.
Charles de Brosses, politico francese in visita a Napoli, inveì contro questi "barbari spagnoli", "goti dell'età moderna", indegni di gestire beni così preziosi e denunciando di aver visto "beni abbandonati su una scala cieca e indecente, di un gran disordine e di molti danneggiamenti".
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Antea, Parmigianino XVI sec |
Diverso fu per Capodimonte. E' vero che Carlo la volle come casina da caccia, ma già nel 1737 aveva nominato una commissione che si occupasse di trasportare la Collezione di Parma fino in collina, segno che pensava alla reggia in collina come ad un museo, più che a una residenza. Questo anche perchè i lavori andarono per lunghe a causa della difficoltà di raggiungere il sito e l'approvvigionamento dell'acqua. La reggia, che sarebbe dovuta essere pronta per il 1739, lo fu invece 19 anni dopo. I quadri furono spostati nel 1754 e Capodimonte terminata solo nel 1758.
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Luigi Farnese, Tiziano |
Un anno prima che il fato richiamasse Carlo in Spagna e lasciasse tutto nelle mani di Ferdinando IV, di allora 8 anni.
Qualcosa Carlo in Spagna si portò, ma purtroppo tutte le fonti ufficiali (inventari, relazioni) che ci possano testimoniare realmente che cosa ci fosse o no a Capodimonte sono andati distrutti.
Rimangono le testimonianze dei viaggiatori, che pure furono numerose. Tra il 1765 e il 1791 passarono, tra gli altri, per il Museo collinare Canova, Goethe, e Sade.C'è da dire anche che la vocazione museale del palazzo non fu solo nella sua architettura d'interni: Capodimonte fin dall'inizio fu considerato diversamente da una residenza, affiancato da un laboratorio di restauro diretto dal sassone Federico Anders; dal 1785 ci fu un regolamento che sanciva le mansioni del personale e gli orari di apertura.
La quadreria di Capodimonte anticipò quello che poi diventò il palazzo degli studi a Napoli. Tra il 1777e il 1785 si andò precisando un progetto di museo onnicomprensivo di stampo illuministico: un museo ad uso pubblico e per l'istruzione della gioventù. Un progetto enorme che avrebbe compreso le Biblioteche, le collezioni museali (pensate ad Ercolano), le Accademie di scienze, Lettere, arte e architettura, nonché l'osservatorio astronomico, i laboratori per le pietre dure etc.
E' chiaro che in questo progetto illuministico e universale la particolarità delle singole collezioni si disperdesse un po'.
Tuttavia il nucleo farnese è ancora oggi una gemma nella miriade di meraviglie di Capodimonte e dell'attuale Museo archeologico.
Eredità preziosa di una famiglia di mecenati, giunta a Napoli per la privilegiata via materna: grazie alla principessa di Parma, poi regina di Spagna, infine madre del re di Napoli
Bibliografia:
1. L’occhio della madre. La
politica internazionale di Elisabetta Farnese, Giulio Sodano in:
in: Le vite di Carlo di Borbone.
Napoli, Spagna e America, Arte’m, 2018
2. Gli esordi di Carlo di Borbone a
Napoli: i primi trasferimenti delle raccolte farnesiane,
Antonio Ernesto Denunzio
in: Ricerche sull'arte a Napoli in età
moderna, Art'em 2014
3. Dalla Reale Galleria di parma al
Real Museo di Napoli, Pierluigi Leone de Castris
In: Elisabetta Farnese principessa di
Parma e regina di Spagna, Viella 2009
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Due chiacchiere con Corie ....: