Manfredi di Svevia tra Dante e il Roman de la rose

Biondo bello e di gentile aspetto. Non può essere che Manfredi di Hohenstaufen. 

Ultimo figlio Federico II, nato illegittimo da Bianca lancia. Quando il padre morì, nel 1250 rimase lui a difendere il Regno di Sicilia. L'erede sarebbe stato il suo fratellastro Corrado, ma era in Germania, e così toccò a lui mantenere il trono, o più probabilmente ambire definitivamente ad esso.

Morì nella battaglia di Benevento nel 1266, spogliato completamente di tutti gli orpelli regali e riconosciuto dai suoi uomini.

Siamo al terzo canto del Purgatorio: quando tutti lo credevano all'Inferno, Dante gli dà una possibilità di salvezza.  

Manfredi infatti è morto sul campo di battaglia ancora scomunicato: verrà disseppellito dal luogo in cui era stato sepolto e "or le bagna la pioggia e le move il vento".

Dunque, secondo Dante, Manfredi si è sinceramente pentito dei propri peccati, e ora è salvo in Purgatorio, nonostante la scomunica papale.

Vat.lat. 36, c 522v

Non a caso, all'inizio del canto, Virgilio invita all'umiltà: "Stae contenti, umana gente, al quia"(vs 37):  la ragione degli uomini non può pregiudicare l'infinita bontà di Dio. La scomunica di Manfred i(Urbano IV, 1263)  è per Dante un  un atto politico: d'altronde , anche  San Tommaso, che considerava la scomunica data per odio o per ira ingiusta priva di effetto, presenta la vicenda di Manfredi perfettamente in linea con la sua posizione di guelfo bianco.

Sulla spianata dell'antipurgatorio, mentre Dante e Virgilio cercano un passaggio per iniziare la scalata al monte, una delle anime erranti, accortosi che Dante proietta la sua ombra, si staglia dalla folla il giovane Manfredi.  

Nelle sue prime parole non c'è solo la preoccupazione di far conoscere la sua condizione a sua figlia Costanza, e dunque di ottenerne le preghiere per la definitiva salvezza, ma c'è anche una rievocazione di una linea dinastica he passa attraverso le donne: sua nonna, Costanza d'Altavilla e  Costanza sua figlia, appunto, ora sposa di Pietro III d'Aragona. Manfredi esclude volutamente il padre e i nipoti, portatori dei segni dell'eresia, della perversione e della corruzione.

Non solo bello e giovane, ma anche regale.  Non a caso Dante lo definisce "gentile": un termine afferente al vocabolario del Dolce Stilnovo, come pure i termini "pudica" e "onesta" nello stesso canto (quando  definisce il coro di anime pudica in faccia e nell'andare onesta, Purg., III, vv. 86-87).

Riabilitato dunque da Dante, ma non solo. 

Decapitazione di Corradino,
miniatura della Cronaca di
Giovanni Villani
I fatti del 1266, e ancora di più quelli del 1268 con la decapitazione n piazza del Carmine a Napoli del giovanissimo Corradino di Svevia, nipote di Federico II (era  figlio di Corrado IV di Svevia, figlio del secondo matrimonio di Federico II con Jolanda di Brienne), non passarono inosservati nel resto dell'Europa. 

Anche in letteratura si sentì la necessità di parlarne.

 Jean de Meung infatti cita l'evento nel Roman de la Rose,  per esempio. 

Nella lunga parte da lui composta, raccontando dei rovesci di fortuna, non manca di citare testualmente la vicenda di Manfredi.

Ora, diciamoci pure che Jean de Meung non fu un intellettuale molto amato dai contemporanei: le affermazioni teologiche contenute nella sua parte del del Roman de la Rose fecero non poco infuriare il vescovo di Parigi, quelle sull'amore la nostra Christine de Pizan, i suoi attacchi a domenicani e francescani lo rendevano sospetto all'inquisizione.

 Da qualche parte doveva pur cercare approvazione: per questa rimanevano l'Università e la Corona, all'epoca nella persona di  Filippo III l'Ardito.

Luigi IX era morto da tempo (1270), e con lui si estingueva una corrente prudente e titubante,  e Filippo, suo figlio, non si può dire sia rimasto indifferente al fascino dello zio Carlo (D'Angiò), tanto diverso per temperamento dal fratello maggiore.

In Francia si stava lentamente affermando una politica più aggressiva in politica estera: la successione in Castiglia, gli affari del Sacro Romano Impero, sembrarono allora potersi discutere tra le mura della casa capetingia.

I versi dedicati alla vicenda tra Carlo, Manfredi e Corradino sono i 6631-6655:

[E se non dai alcun valore alle prove / tratte dalle storie antiche, / ne hai anche di contemporanee,
/ [reperibili] in battaglie recenti e belle, / di quella bellezza, devi sapere, / che ci può essere nelle
battaglie. / Alludo a Manfredi, re di Sicilia, / che con la forza e con l’astuzia / mantenne in pace tutto
il regno, / fnché gli mosse guerra il valoroso Carlo, / conte d’Angiò e di Provenza / che, per divina
provvidenza, / è ora re di Sicilia, / ché così vuole il vero Dio / che è sempre stato al suo fanco. /
Questo valoroso re Carlo gli tolse / non soltanto la signoria, / ma anche la vita dal corpo. / Quando
con la spada che taglia così bene lo assalì, / nella prima battaglia, / per sconfiggerlo, / andò sul suo destriero grigio / ad annunciargli lo scacco matto, / ottenuto prontamente con una mossa di pedone / nel mezzo della sua parte di scacchiera] 

Dunque Manfredi "con la forza e l'astuzia mantenne in pace tutto il regno": gli sono implicitamente riconosciute le doti necessarie ad un sovrano (sono le stesse del Principe di Machiavelli). Sul versante delle battaglie, infatti, Manfredi tutelò sempre il Regno di Sicilia, combattendo  al di là dei confini. 

Anche quando accenna alla sua fine, avvenuta per scacco matto, / ottenuto prontamente con una mossa di pedone allude probabilmente al fatto che fosse stato disarcionato e poi finito dalla fanteria: un uso spregiudicato della fanteria in battaglia, non certo consono alle norme leali e cavalleresche, ma già conosciuto e sempre più utilizzato in battaglia.

Jean de Meung usa tra l'altro una metafora scacchistica già conosciuta nel medio Evo: gli scacchi erano considerati il gioco dei re, aventi un potere divinatorio nelle sorti delle battaglie. 

Arrivò infatti  il valoroso re Carlo, che è re di Sicilia  per divina provvidenza. D'altronde il regno di Manfredi non era considerato legittimo. Era pur sempre un figlio naturale legittimato in punto di morte, usurpator di Corradino.

Carlo non vince per pura fortuna, ma perché ha saputo fare la mossa giusta  (e spregiudicata) al momento giusto. Jean de Meung compiace così la sua casa reale: Filippo III sosteneva infatti l'impresa dello zio, di cui andava fiero. Mentre tributa a Carlo un omaggio tutto sommato di prammatica, come una captatio benevolentiae, riconosce anche lui nell'Hohenstaufen una regalità che proviene dalle sue virtù, frutto di un genuino quanto implicito rispetto. 


Bibliografia: 

Paolo Grillo, Manfredi di Svevia, Salerno 2021 

Silvio Melani, Manfredi e Corradino di Svevia nel Roman de la Rose in Medioevo Europeo, Vol. 4, fasc. 2 (2020)

Graziella Bassi , Ser Ciappelletto-Manfredi di Svevia: due anime allo specchio, in Critica letteraria, 171, fasc. 2 (2016)

Commenti

Storie del blog