Christine de Pizan vs Roman de la Rose

 


Christine de Pizan, la scrittrice della quale rivendichiamo con orgoglio le origini italiane, chiamandola spesso Cristina da Pizzano, è l'unica donna facilmente riconoscibile nei manoscritti medievali. È quella col vestito blu (una cottardita a maniche pendenti), il cappello bianco a due punte e con un libro in mano.  

Ha tanti primati, la nostra Christine (in francese perchè da Parigi fu adottata e in francese scrisse): 

la prima scrittrice, la prima biografa,  la prima imprenditrice, prima a scrivere un manuale di arte militare, la prima a sfruttare la comunicazione tout court, la prima intellettuale a 360 gradi insomma, che tale si è sentita e come tale si è proposta.

Christine vive alla corte del re di Francia: conosce funzionari e uomini di corte; è ben inserita anche negli ambienti dei nobili, e ha a disposizione la ricca biblioteca di corte. 

Eppure, tra i tanti che legge, c'è un libro che non le piace. Si tratta del best seller del secolo. E' stato scritto 150 anni prima, è vero, ma il tempo di successo e diffusione del libro di intrattenimento medievale non è certo quello di oggi: del Roman de la Rose sono rimasti ben 300 manoscritti, numero che ci offre la misura di quanto all'epoca fosse diffuso. 

Guillaume de Lorris scrisse la prima parte del Roman nel 1245 (circa 4000 versi):  nel suo sogno Amante,  il protagonista maschile, deve raggiungere la Rosa, oggetto del suo desiderio.  E poiché siamo in un sogno i personaggi sono personificazioni: abbiamo dunque Piacere, Cortesia, Ricchezza, Gelosia (etc.). Non è il primo romanzo allegorico del Medioevo, e non sarà certo l'ultimo: si rifà ad una lunghissima tradizione che unisce l'allegoria alle teorie del fin amor : numerose digressioni sulla nobiltà, l'amore arricchiscono il testo. L'eredità della poesia latina e di quella medievale, che volutamente confondono sacro e profano si fa sentire. La Rosa sembra essere proprio la donna agognata (anagramma di eros), ma c'è chi l'ha interpretata anche come unione mistica con la Vergine Maria.


Circa cinquant'anni più tardi, intorno al 1280, un universitario parigino di nome Jean de Meung, ne scrive la seconda parte (offrendo tra l'altro tutte le notizie che oggi abbiamo della prima): il suo Roman consta di 18000
versi (quindi molto più prolisso)  e il suo personaggio maschile si chiama Genius, intelletto. Egli disserta con Natura e Ragione: discorre in tono magistrale, parlando dell'uomo, del suo comportamento, delle relazioni, riprendendo le dottrine ormai sviluppate dall'università parigina. Non crede nell'amore, ma solo nell'istinto, allos tesso modo dei tori e delle vacche nei prati.



Perde lo smalto della poesia, per acquisire quello della dissertazione universitaria, dove si vuol dimostrare di che materia sono fatte le relazioni, ergendosi a verità assoluta e dimostrata. 

Jean de Meung è il fiore all'occhiello dell'Università parigina, già una lobby ai suoi albori; aveva dalla sua anche il clero avignonese: come lui stesso scrive nel Roman, "l'Università detiene le chiavi della cristianità."

In tutto questo tronfio clamore intorno all'università e al suo discettare c'è qualcosa che non a Christine non sta bene. E a non piacerle non solo è un linguaggio volgare che infanga la tradizione cortese, ma anche una certa mentalità che si cerca di dimostrare.

Insomma, Christine muove i passi giusti e scatena un dibattito letterario: alza un vero e proprio polverone. 

Il primo dei passi è nel 1399, l' Epistre au Dieu d'Amour : 1399, una lettera scritta dal dio d'amore, che in 800 versi si rivolge ai fedeli amanti di Francia, in occasione della festa del I maggio. In questa epistola Cristina presenta le rivendicazioni delle donne (già lo aveva fatto con le vedove): esse infatti vedono moltiplicarsi i falsi amici, quelli che ingannano, fingono di mare, piangono e sospirano, e poi si vantano con gli amici delle loro conquiste amorose.

L'onore delle dame, un tempo tesoro segreto dell'amante, oggi è calpestato. 

E Christine chiama in causa anche i chierici, che accusano le donne di essere menzognere. Man mano che il poema avanza, i toni della scrittrice si fanno più vigorosi: chi dunque semina le guerre? chi dunque attacca battaglia?

Le virtù cavalleresche che hanno reso celebre la Francia e un'intera epoca e tradizione cortese, stanno scomparendo. Alla cavalleria si sono sostituiti gli ordini della cavalleria: essa ormai è un pretesto per parate, tornei e cavalcate guerresche., in cui la vanità maschile trova soddisfazione. La cavalleria dimentica la sua funzione, la sua ragione d'essere, e sostituisce alla virtù la forza. E' pur vero che siamo nel mezzo di una guerra che dura da più di 60 anni (la guerra dei cent'anni, ndr), ma il timore è che se i cavalieri sostituiscono la virtù con i valori della guerra, anche i rapporti tra uomo e donna ne saranno inficiati: i rapporti di forza saranno trasferiti nelle relazioni tra i sessi. 

Nella sua epistola, il dio d'Amore attacca il Roman de la Rose, per lo  meno nella sua seconda parte, quella di Jean de Meung. Ha compilato un a sorta di lungo processo contro le donne e ha insegnato ai potenziali seduttori i mezzi "per vincere una pulzella con frode e astuzia". Jean de Meung schiera contro le donne un arsenale di argomenti più pericolosi dei cavalieri sleali. Nel Roman de la Rose serpeggia, neanche velatamente, una requisitoria contro le donne di cui egli denuncia continuamente le astuzie, le civetterie e il modo in cui esse rovinano coloro che se ne lasciano catturare. Infine dichiara quanto sia folle credere nell'amore. Genius invoca l'autorità di Natura per dimostrare che l'amore non esiste. Il tema della "cerca " amorosa viene sostituito dal disprezzo per la donna, poiché l'amore è mero appagamento degli istinti: Ragione ce lo descrive in forma dottorale, senza dare spazio al sentimento e all'immaginazione. La forma è quella del professore che disserta, dell'universitario messo al di sopra di ogni sospetto perchè fa parte dell'Università

Non c'è niente in tutto ciò che le possa star bene. 

Nessuno si era sistematicamente contrapposto alla tradizione cortese quanto Jean de Meung; Cristina, da poetessa e scrittrice qual era, non ha nessuna difficoltà a smascherare quel disprezzo della donna che la dottrina di Genius fa sorgere in nome di Natura: l'elaborata predica del maestro, al tempo stesso dotta e licenziosa, non la impressiona; e così mentre ne sottolinea le volgarità  del linguaggio, ben diversamente dall'eleganza della letteratura cortese, ne mette in discussione il disprezzo verso le donne. 

A difesa di questo incensato professore della Sorbona si schierano compatti. Il primo ad accorgersi che l'affare non è da poco è Jean de Montreuil, preposto di Lille e segretario del Re Carlo VI. Nel 1401 risponde con un trattato in francese, oggi perduto, indirizzato a alla stessa Cristina e un notabile chierico, probabilmente Gontier Col, altro personaggio della cancelleria reale. Lui difende a spada tratta il Roma de la Rose.

E così Cristina impugna la penna e gli indirizza una lettera: La livre de epistres sur le roman de la rose (1401-1402), ovvero lettera al preposto di Lille: in sintesi gli fa sapere che l'ha trovato estremamente volgare, che è inorridita degli insegnamenti che esso propugna, che non vi ha visto che dissolutezza e vizio, e che si indigna del fatto che" così esageratamente, impetuosamente e falsamente e si accusi, biasimi e diffami le donne di numerosi e gravissimi vizi e sostenga che i loro costumi sono pieni di ogni perversità". Christine non ci va per il sottile, lo incalza difendone punto punto tutta la categoria femminile ingiustamente accusata. 

Gontier Col si sente offeso: le risponde, senza argomentazioni, solo cercando di riportarla all'ordine (e al silenzio). La lettera che le indirizza è colma di disprezzo, addirittura la paragona alla cortigiana greca Leontio che, come ricorda Cicerone, osò scrivere contro il grande filofo Teofrasto ("Sulla natura degli Dei" I 33).

Tuttavia, anche il team Christine conta nomi non da poco: Jean Gerson, per esempio, cancelliere dell'università di Parigi e della chiesa di Notre Dame, oratore di gran successo e con molto seguito.  Non scrisse lettere, ma pronunciò un sermone nel quale metteva pubblicamente in discussione l'opera di Jean de Meung. Che un tale nome denunciasse la grossolanità di Jean de Meung nei suoi attacchi contro le donne, era un avvenimento nel mondo universitario. La cosa mise in agitazione tutto il clan dei maestri parigini, tra i quali si mormorava che Gerson avesse iniziato un grande trattato contro il Roman de la Rose. Il Roman non è l'unico argomento che oppone Gerson all'Università: la questione dell'ordine dei mendicanti ne è un'altra che lo ha reso inviso ai professori.

Interviene nel dibattito anche Pierre Col, fratello di Gontier, canonico a Parigi. Scrive a Cristina smontando i suoi argomenti, dilungandosi sul linguaggio utilizzato da Jean de Meug, ma accusando Cristina di aver letto l'opera solo superficialmente. Ma lei non ritratta. 


Nel gennaio del 1402 Luigi d'Orléans organizza  nel suo palazzo una grande Festa della Rosa, alla quale è invitata anche Cristina. Compone per l'occasione
il Dit de la Rose che al tempo stesso evocava la festa e ne descriveva le scene: se ne diede lettura nel castello di Orléans il giorno di San Valentino, festa degli innamorati, e alla  presenza di Valentina Visconti duchessa d'Orleans, padrona di casa.

In quell'occasione si decideva la creazione dell'Ordine della Rosa; gli uomini lì radunati dichiaravano di entrare in quest'ordine per difendere l'onore delle dame. 

Ci si guardi dal ledere l'onore delle donne, in quanto esse hanno il potere di conferire l'ordine della rosa a chi le onora. Il poema ha una calorosa accoglienza, viene offerto alla regina Isabella di Baviera. 

D'altronde, se si permette ai maestri imbevuti della loro scienza di gridare il loro disprezzo senza protestare, la donna è in pericolo, e dunque anche il ruolo della regina lo è. 

Jean Gerson intanto ha concluso il suo trattato allegorico anti Roman de la Rose, e la questione continua a creare un gran subbuglio.

Cristina, comunque, sembra avere l'ultima parola sulla questione. Per la prima volta  una donna prende la penna in mano in difesa del proprio sesso (Simone de Beauvois); tanto più coraggiosa perchè sa di mettersi contro un'intera Istituzione, che sta prendendo sempre più potere.

In tanti hanno voluto vedere nella sua difesa delle donne una sorta di protofemminismo. Ma Christine non è una femminista. Ci sono delle affermazioni, anche nelle sue opere più conosciute, sul ruolo della donna che farebbero rabbrividire anche le casalinghe degli anni '50. Tuttavia é indubbio che dimostra di avere coscienza del suo ruolo di studiosa e scrittrice, tanto da tenere testa a chiunque, ma anche che affronta la querelle sul Roman con un taglio tutto originale. Fa parlare le donne per contestare un cambiamento che non le dice niente di buono.

Al regno dei cavalieri sta succedendo quello dei professori, dell'intellettuale che tiene a sottolineare le distanze con quelli che non hanno avuto accesso a quel sistema di astrazioni, di definizioni e di principi che è il suo mondo: le donne, il popolo, insomma tutto ciò che non c'entra con l'Università sono esclusi dall'autorità del sapere.

 Non le sta bene che i luoghi del sapere si spostino dalle corti, dove le donne erano chiamate a far da giudici nelle tenzoni poetiche e cortesi, o erano esse stesse poetesse, all'Università tutta razionalità e sillogismi. 

E non ha tutti i torti. Ricordiamoci che l'Università   aveva rispolverato ai tempi di Filippo il Bello una legge salica caduta in disuso dal VII secolo, e che così Giovanna di Navarra aveva perso il trono. E non sono cose successe molto tempo prima.

Ed è dal riconoscimento di questo ruolo istituzionale, e dall'esclusione delle donne dall'Università che ha origine (tra le altre, ovviamente) la caccia alle streghe.

Forse non era femminista, ma certamente ci aveva visto lungo.


Bibliografia 2.0

Alessandro Barbero, Come pensava una donna nel medioevo? 2. Christine de Pizan, 2012

Chiara Frugoni, Donne medievali, il Mulino, 2021

Roberta Manetti, Silvia Ronchey, Chiara Frugoni, Il roman de la rose: un'allegoria dell'amore tra parole e immagini, 2017

Maria Giuseppina Muzzarelli, Un'italiana alla corte di Francia. Christine de Pizan, intellettuale e donna, Il Mulino, 2007 

Maria Giuseppina Muzzarelli. Il genio femminile nel Medioevo. Christine de Pizan, 2024 

Régine Pernoud, Storia di una scrittrice medievale: Cristina da Pizzano,  Jaca Book, 1996

Antonio Pioletti, Postille critiche su  Jean de meun e Christine de Pisan, In "par le geus d'Amors savoreus": parole di Eros dal Medioevo al Moderno, Rubettino, 2022

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