Un imperatore in visita a Napoli





"Voi non vi immischierete negli affari, se non in quanto il re lo vorrà.[…]. Se anch’egli vuole mettervi a parte del suo regno, informarvi degli affari, parlarvene, consultarvi anche, non fatelo mai sembrare, lasciategli l’intero onore agli occhi di tutti e accontentatevi del suo cuore e della sua fiducia.

    ... I suoi gusti e i suoi capricci devono essere per voi delle leggi: dovete adottarli, prevenirli, incoraggiarli, o scusarli, se sono indifferenti, ché quelli contro la coscienza o una certa decenza non devono essere seguiti."

Era il 12 maggio 1768: Maria Carolina d'Asburgo Lorena aveva 16 anni, Ferdinando di Borbone  17. 

Si erano già sposati per procura il 7 aprile, e ora la Charlotte partiva per il suo mini grande tour che le avrebbe fatto incontrare suo marito e la sua nuova casa.

La sposa giunge a Napoli con un vero vademecum scritto dalla madre Maria Teresa d'Asburgo, imperatrice d'Austria.  Una madre con un curriculum di tutto rispetto in quanto a maternità e potere. Un libretto di istruzioni matrimoniali per fare della sua tredicesima figlia una buona moglie, ma soprattutto un'eccellente regina.

"sarete del tutto napoletana e non metterete mai in ridicolo particolari abitudini. Dovete assolutamente regolarvi secondo gli usi della nazione, siete destinata ad essere loro sovrana." 

e proprio su quelle particolari abitudini napoletane il fratello maggiore, Giuseppe, fu chiamato ad indagare. 

Ferdinando IV di Borbone
Ferdinando non aveva una fama irreprensibile negli Stati europei: lasciato a soli 8 anni a Napoli quando i genitori, Carlo e Maria Amalia,  avevano fatto ritorno in Spagna per cingerne inaspettatamente la corona. 

Lui, invece, era rimasto a casa, a presidiare il trono che un giorno sarebbe stato suo, con quel Consiglio di reggenza, fatto da uomini fidatissimi del padre: primo fra tutti Bernardo Tanucci. Della famiglia di origine gli era rimasto solo Filippo, quel fratello maggiore inabile alla corona, a cui però fu sempre molto affezionato. Il conte di san Nicandro si occupò della (mal)educazione del giovane principe e  Tanucci, e ora praticamente onnipotente nel Regno di Napoli.

Maria Carolina doveva innanzitutto ingraziarsi il marito e conquistarsi la sua fiducia, ma sapeva bene qual era il compito ultimo per cui la madre l'aveva spedita a Napoli per sposare questo strano personaggio che, si sapeva, tutti chiamavano già "re lazzarone" e non parlava una parola di italiano. Con il primo figlio maschio (Carlo Tito, arrivato poi 7 anni dopo, ndr) avrebbe fatto parte, come di consuetudine, nel consiglio di Stato, e allora il suo cuore austriaco avrebbe fatto la parte che doveva.

La longa manus di Maria Teresa non si accontentava certo di pochi consigli messi per iscritto, e di una corrispondenza puntuale ma non del tutto attendibile, se non verificata de visu. Dunque, esattamente 11 mesi dopo il matrimonio, giunse a Napoli i Giuseppe, già coreggente al trono d'Austria, in viaggio a Roma e poi presso i sovrani partenopei. 

In realtà Ferdinando e Carolina avevano trascorso le feste di Natale con l'atro fratello di Maria Carolina, Pietro Leopoldo, il granduca di Toscana e con sua moglie Maria Luisa di Borbone Spagna (sorella di Ferdinando dunque). In quell'occasione Pietro Leopoldo aveva riferito alla madre che il contegno in pubblico di Maria Carolina era eccellente, ma che non poteva dirsi lo stesso per il marito, la cui sguaiataggine aveva messo in difficoltà gli stessi napoletani.

Ora, c'è da dire che la fama che precedeva  il cognato non era certo rassicurante per Ferdinando: cattolico, fedele alla Santa Sede, ossequioso della gerarchia ecclesiastica. L'opposto dell'irriverente re di di Napoli, credente e praticante sì, ma riottoso ad ogni forma di vassallaggio. La Storia dimostrò che le cose non erano esattamente come apparivano, ma all'epoca Ferdinando non poteva saperlo, e c'è chi testimonia che abbia, almeno all'inizio, dimostrato un po' di soggezione verso il cognato tanto compito.

Giuseppe II d'Asburgo Lorena

Non ci stupisce che le prime informazioni che Giuseppe riportò alla sovrana imperatrice sono proprio su questo strambo marito toccato in sorte alla sorella: lo definisce "magro, scarno e ossuto... ad ogni passo dondola e sembra che il suo copro barcolli... le mani, abbronzate e grossolane, sono molto sudice, perché non porta mai i guanti quando va a cavallo o a caccia"

"Per quanto sia brutto, però,  non è del tutto repulsivo... è pulito, fuorché nelle mani, e per lo meno non puzza."

Giuseppe, don Peppe, come lo chiamava affettuosamente Ferdinando, prese nota di tutto: dai capelli che non si incipria a come si veste, a tutte le conversazioni, dalle porcellane di Capodimonte alla amatissima caccia, ai giochi di società a corte, alla paura della folla, alla passione per gli scherzi scurrili, il turpiloquio e le bastonate, alle carezze che riserva alla sorella. Su questo punto non poteva che constatare che il re sembrava molto compiaciuto della sua sposa della quale si fidava già molto. E dunque il primo obiettivo era andato già a segno.

Ferdinando ripeteva spesso che non avrebbe potuto essere più contento di sua moglie. Il suo unico dispiacere era che Carolina amava i libri, cosa che invece egli detestava.

 È chiaro che venivano da due mondi diversi, e tuttavia lei gli dimostrava molta pazienza. A suo fratello lo definì "un autentico scioccone". Anche Giuseppe lodò moltissimo Maria Carolina: trovò il suo comportamento irreprensibile, lontano dai pettegolezzi di corte, morigerata nel vestire, per niente civetta  o desiderosa di affascinare. Purtroppo aveva preso l'abitudine di mordersi le unghie. 

Bernardo Tanucci
Oltre che delle lunghe battute di caccia, per la quale la regina non nutriva nessun interesse, Carolina confidò al fratello l'insofferenza per Tanucci, fino a quel momento il pilastro del Regno. In realtà il fiato sul collo di Madrid cominciava a stare stretto anche a Ferdinando. E Giuseppe non fece che cavalcare l'onda del malcontento dei sovrani. Suggerì a Ferdinando esigere rapporti scritti, e che almeno si riservarsi il diritto se non della firma almeno del timbro reale, e a Maria Carolina di essere paziente: il periodo d'oro di Tanucci e dunque filospagnolo si sarebbe esautorato con la fine di Carlo III di Spagna. E a questo proposito non mancò di rimarcare con i giovani sovrani la continua ingerenza del re di Spagna.

Sempre pensieroso e meditabondo, aveva la politica nelle ossa, e ogni sua azione e parola ne portava a la rilevanza. La sua era una missione politica: accertarsi della stabilità del matrimonio della sorella, e ricordarle la giusta direzione che si esigeva dalla sua presenza a Napoli, ovvero filoasburgica.

Di Tanucci alla madre non disse che male: "un essere che semina zizzania tra padre e figlio, adulandoli ambedue e lasciandoli in quell'ignoranza che serve ai suoi scopi ... quel disgraziato tremava dalla paura che io aprissi gli occhi al Re."

Le sue profezie sulla monarchia partenopea non si verificarono: disse infatti che si sentiva completamente tranquillo sul destino della sorella, ma, come avvenne poi per la vista a Maria Antonietta, la sua presenza fu breve ma incisiva, foriera della politica che avrebbe ispirato Carolina negli anni a venire.

Tra le curiosità che Giuseppe raccontò nelle lettere a sua madre ci fu la presenza di 5-6 stanze del palazzo reale "completamente affrescate e ricche di marmi piene di polli, piccioni, oche, anatre, pernici, cani, gatti canarini, e ci sono perfino gabbie piene di sorci e topi. Il re ogni tanto li libera e si diverte poi a cercare di catturarlo. Un giorno prese un topo vivo, lo portò alle dame di corte e lo gettò loro in faccia".

Se era vero che a Napoli viveva un re scugnizzo, il rampollo imperiale con tutta la sua noblesse oblige non lasciò un buon ricordo di sé.  Pur ammettendo di aver visto cose meravigliose tra i luoghi e le residenze reali  (Portici, la Reggia di Caserta, il Palazzo Reale, Capodimonte, gli scavi di Pompei ed Ercolano) sembrava non goderne affatto. Schivo e silenzioso, spesso meditabondo, l'Imperatore girava spesso a piedi, con un solo accompagnatore e in incognito. Il popolo napoletano, curioso di incontrarlo e di tributargli gli onori che si devono ad un Imperatore, ne rimase deluso.

Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli disse di lui: "si irritava facilmente e si arrabbiava quando avrebbe dovuto mantenere il controllo di sé... sul Vesuvio lo vidi rompere il suo bastone sulla testa della guida che lo aveva leggermente offeso."

Partì l'8 aprile: si era mostrato una sola volta al popolo napoletano,dal balcone della sala reale.


Bibliografia:

Mariani Concetta, Il viaggio di Giuseppe II a Roma e a Napoli nel 1769, Carabba 1907
Acton Harold, i Borboni di Napoli, Giunti Martello1985
Maria Teresa d'Austria, Consigli matrimoniali alle figlie sovrane, Passigli 2000
Di Fiore Luigi, Le borboniche, Utet, 2024

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