Accabadora, Michela Murgia

Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Pubblicazione: Torino: Einaudi, 2010
Pagine: 166
Premio Campiello 2010


Non avevo mai letto un libro ambientato in Sardegna. Ho pensato di rimediare con questo titolo che ha raccolto moltissime recensioni positive, diventato in poco tempo un caso letterario.
Ambientato intorno agli anni '50 nel paesino di Soreni, è la storia di due donne, unite dalla pratica allora diffusa di affidare a coppie sterili gli ultimogeniti di famiglie numerose. 
Maria è una "fill'e anima", quarta figlia di madre vedova, affidata all'età di sei anni alle cure di Bonaria Urrai.
Bonaria di mestiere è un'accabadora, una donna che, per usare un eufemismo, accompagna le persone in agonia alla morte.
Maria crederà per anni che il mestiere della sua madre adottiva sia la sarta, e la scoperta della verità avrà un effetto devastante sulle due donne. La confidenza e l'affetto che entrambe conquistano a fatica, che vanno conoscendosi e avvicinandosi tra diffidenze, silenzi complici e poca tenerezza, si spezza quando Maria scoprirà la dolorosa verità del mestiere di Bonaria. 
Un mestiere che Bonaria ha ereditato e accettato, senza farsi domande. 
Tutta la prima parte del libro è intrisa di quella ineluttabilità ancestrale che è tratto comune in romanzi ambientati nell'entroterra isolano; non a caso ricorda molto il verismo di Verga. Questa la realtà, non resta che accettarla. Può diventare fonte di pettegolezzo, ma mai di rottura.
Con la complicità della maestra delle elementari, Maria trova lavoro come bambinaia a Torino presso una famiglia benestante. I due anni torinesi della ragazza sono forse la parte più scorrevole del libro. I personaggi, più complicati  hanno senz'altro una finezza psicologica più originale; le ferite, le piccole gelosie legate all'età e al rapporto tra fratelli, l'inizio di una passione, rappresentano una parentesi di luce nell'ambientazione cupa della Sardegna. Nonostante questo, non si può fare a meno di notare che non sono utili alla storia.
Maria sarà costretta a tornare a casa, anche a causa della grave malattia di Bonaria. E lì, pur contro la sua volontà, sentirà di dover compiere l'inevitabile.
Pur partendo con entusiamo, grazie alle belle recensioni che ha avuto il libro, mi sono resa conto subito che non sarebbe stata una lettura facile. Ci ho messo 30 pagine per entrare nella storia, e quando mi ha coinvolta mi ha anche soffocata. I destini già scritti, le piccole meschinità di paese, la durezza di un cuore che non si rassegna ai limiti del fisico, la sterilità affettiva di una madre naturale, e la severità di quella adottiva, fanno di questo romanzo un lungo racconto opprimente. Decisamente non era il suo momento.


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