Il guanto di sfida degli angioini



 Il regno angioino  inizia e finisce con due duelli mancati.

1283. Il primo, tra Carlo I d'Angiò e Pietro III d'Aragona
1438. Il secondo, tra Renato d'Angiò e Alfonso d'Aragona.

In qualità di petitor, sfidante, sempre gli angioini. 

Il duello tra Carlo e Pietro si sarebbe dovuto svolgere a Bordeaux, in Guascogna, sotto potestà del sovrano inglese Edoardo I il 10 giugno del 1283.

Siamo a ridosso della guerra del vespro, scoppiata in Sicilia il lunedì dell'angelo, ovvero il 30 marzo 1282. La Sicilia rimase una spina nel fianco per gli angioini: diede inizio ad un conflitto che durò per 90 anni, con la sola tregua della pace di Caltabellotta nel 1302, e si risolse nel 1373 con la sconfitta sull'isola della presenza francese.

Le ragioni per cui i siciliani offrirono con tanta facilità la corona a Pietro d'Aragona sono abbastanza note. Una su tutte, la corona d'aragona aveva accolto molte delle forze fedeli a Manfredi, poichè Pietro III è il consorte di  Costanza di Svevia,  figlia del già citato Manfredi di Hohenstaufen, a sua volta figlio naturale di Federico II e di Bianca Lancia. 

[Anche qui ci sarebbe da discutere, perchè in realtà Federico aveva scelto come legittimo erede in Sicilia Corrado IV. Manfredi, nato e cresciuto in Puglia, ebbe la nomina di reggente perpetuo del regno d'Italia e del regno di Sicilia.  Magari però la guerra dei fratelli Hohenstaufen a la affrontiamo un altra volta]

Intanto, Carlo e gli Aragonesi avevano già un conto in sospeso. Carlo, infatti, aveva già conosciuto in battaglia gli Aragonesi 20 anni prima dei fatti narrati.  Era il 1245 e Carlo aveva 23 anni, ed era fidanzato con Beatrice di Provenza, erede della contea, ultima delle quattro sorelle di Provenza. Giacomo I d'Aragona  entrò in Provenza e mise a ferro e fuoco il castello dove risiedeva Beatrice. Carlo intervenne in difesa di Beatrice, la liberò e la sposò nel 1246. 

Quando Carlo scende in Italia nel 1265 in aiuto del papa, Clemente IV, accerchiato di fatto da forze ghibelline, non ha potuto appellarsi a nessuna eredità dinastica. E' stato un regno che ha conquistato con l'esercito, e non senza spargimento di sangue.

 La morte di Manfredi, ma più ancora quella di Corradino (16 anni decapitato in pubblica piazza) non sono fatti che si dimenticano facilmente.

[Ancora adesso in Piazza del mercato a Napoli si ricorda a morte del giovane Corrado]

Carlo d'Angiò

In più l'eredità carismatica e ghibellina dello Stupor mundi pesava sul rapporto tra Carlo e i suoi sudditi.

Bisognava recuperare.  Un duello alla maniera cavalleresca, sul modello della letteratura che già circolava in Francia nel 13. secolo,  poteva essere una buona idea. Lo scontro tra nobili cavalieri poteva avere lo scopo di richiamare nell'immaginario collettivo l'idea di onore, di signoria, ma soprattutto allontanava l'idea della guerra cruenta.

Ne è prova l'enfasi con cui Carlo preparò l'evento. 

Si sarebbe tenuto a giugno 1283 , ma già il 31 dicembre 1282 circolavano i manifesti in cui si avvertivano i cittadini della sfida tra i due regnanti. 

L'angioino partì a gennaio. Preparò tutto in pompa magna. Fece preparare a Parigi cento armature finissime, e una considerevole quantità di soldati, nel caso venissero a mancare i cento previsti. Voleva colpire soprattutto l'immaginazione dei suoi nuovi sudditi. E a quanto pare ci riuscì: Saba Malaspina  dedicò a questo duello (che poi non si svolse mai) una gran parte della sua cronaca.

Una lettera fu inviata al papa, Martino IV, che la lesse il 3 febbraio; un'altra fu inviata a Edoardo d'Inghilterra, scelto come arbitro e garante del duello, poiché si sarebbe svolto in terra di Guascogna, all'epoca un possedimento inglese. Edoardo la riceve il 22 marzo. Entrambi i destinatari non sembrano molto convinti che fosse una buona idea. martino iV scrive subito rimproverando aspramente Carlo, Edoardo fa sapere che avrebbe rifiutato l'arbitrato e ordinò al siniscalco di Bordeaux di tenere la città a disposizione, ma in un territorio non più neutro, ma a questo punto, francese.

Pietro III d'Aragona
Pietro d'Aragona, invece, giunse il 19 maggio a Valenza, accompagnato da tre fidati cavalieri (tra cui Corrado Lancia, nipote di Bianca, ultima moglie di Federico II e 
madre di Manfredi) . Avuta conferma del fatto che il campo non era più neutro e che Carlo si era presentato all'alba  accompagnato non solo dai 100 soldati convenuti. Pietro d'Aragona fece tre volte il giro del campo , fece stendere un atto di protesta e se ne andò. Entrambi si ritenevano vittoriosi, senza aver mai combattuto.

In realtà a questi duello non aveva creduto nessuno. Forse solo Martino IV lo aveva preso sul serio. Per il resto, non poteva certo servire a redimere la questione siciliana. Carlo e Pietro erano pedine della scacchiera, dietro di loro c'erano movimenti e rivendicazioni che non si sarebbero certo fermate con la soluzione del duello.

Carlo volle proporre ai suoi sudditi una nuova idea di regalità e sovranità. In soldoni, fare  una campagna di propaganda per presentarsi sotto nuova veste ai suoi sudditi, come un cavaliere delle tradizione romanza che conosce l'onore, la cortesia e le tradizioni

Veniamo a Renato e Alfonso. 

Sono passati circa 150 anni, poco di più. La Sicilia è aragonese, e l'ultima d'Angiò che siede sul trono del regno di Napoli combina un gran pasticcio. Giovanna II, senza eredi, nominò successore  prima Alfonso d'Aragona poi Luigi III d'Angiò-Valois. Alla morte della regina e di Luigi III, avvenute entrambe nel 1435, si scatenò un'invitabile guerra tra Alfonso e Renato d'Angiò, fratello minore di Luigi. Peccato che Renato venne a sapere di aver ereditato il trono di Napoli mentre era prigioniero di Filippo di Borgogna.

A partire per Napoli, quindi, in prima istanza fu sua moglie Isabella di Lorena, accompagnata dai figli.

Renato d'Angiò con il suo esercito

Renato fu liberato il 28 gennaio 1438 grazie all'intercessione del papa Eugenio IV, e al pagamento di ben 400000 ducati, una cifra astronomica.  

Renato, dunque, arrivò nel regno di Napoli già squattrinato, ma anche tradito.

Aveva preso accordi con Filippo Maria Visconti duca di Milano, a cui i genovesi avevano consegnato Alfonso,  catturato a Ponza. Ma questi si mette d'accordo col duca, prima ancora che Renato mettesse piede in  Italia, e riottenne la libertà.

Non fu l'unico tradimento che Renato subì durante l'esperienza napoletana. Il tradimento che gli fu fatale fu quello di Antonio Caldora, comandante dell'esercito.

Antonio era il figlio primogenito di Giacomo Caldora, capitano di ventura che aveva affiancato Renato d'Angiò nella prima campagna d'Abruzzo (estate 1438)  insieme a Francesco Sforza, che rimase a fianco dell'angioino fino al 1439, quando poi tornò in Lombardia.

 In questa occasione Renato lanciò il guanto di sfida al re d'Aragona. Alfonso temporeggiò, nonostante le occasioni non fossero mancate.

La data doveva essere l'8 settembre 1438. Sembra non si siano messi d'accordo sul luogo. Di fatto, in quella data tra Capua e Maddaloni non si presentò nessuno dei due.

Renato preferì rimanere in Abbruzzo, dove stava a poco a poco recuperando terreni e fedeltà,
e Alfonso, conquistata Caserta, si dedicò all'assedio di Napoli dal mare fino a ottobre, quando il fratello Pietro perse la vita durante un bombardamento.

Quello che accadde dopo fu una serie di battaglie, di conquiste e di riconquiste di città e castelli. Ci fu, però, uno scontro diretto a Benevento, nel 1440. Gli Aragonesi furono messi in fuga, e lasciati fuggire: all'esercito mercenario al soldo dell'Angiò fu dato ordine di non inseguirli.
A capo delle truppe c'era Antonio Caldora. 
Renato aspettò il banchetto a Castel Capuano che si tenne per festeggiare la vittoria per arrestare il Caldora. I suoi soldati gli erano però fedeli e minacciarono di passare dalla parte degli aragonesi. 
Una volta ottenuta la libertà, però, il Caldora si vendette ad Alfonso d'Aragona per 10000 ducati d'oro.
Alfonso V d'Aragona

La città era alla fame e allo stremo. Renato non aveva più soldi per pagare soldati: gli rimanevano pochissimi fedeli, e la promessa di Francesco Sforza di tornare al suo fianco.
Un ultimo tradimento, di un tale Sachitello de Porta Brognia, incaricato di controllare e rafforzare lo sbocco dell'acquedotto che portava fin dentro la città di Napoli, decise le sorti del Regno. Sachitello si fece corrompere dagli aragonesi, e quelli entrarono in città attraverso l'acquedotto.
E, da quel momento, tutto fu perso.


Bibliografia:

Fulvio Delle Donne, Le armi, l'onore e la propaganda: Il mancato duello tra Carlo d'Angiò e Pietro d'Aragona  in Studi storici 44 (2003) pp. 95-109
Mario Gaglione, Converà ti que aptengas la flor: profili di sovrani angioini. - Milano, 2009
http://www.ilportaledelsud.org/vespro.htm
https://www.treccani.it/enciclopedia/renato-d-angio_%28Dizionario-Biografico%29/

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