Ottava crociata, libri e propaganda

Luigi, Alfonso e Carlo, fratelli di sangue e di armi. 

Stiamo parlando dei d'Angiò.

Spinti da un ideale o dal semplice dovere, non si tirarono indietro di fronte a conquiste, battaglie, nuovi regni e crociate. 

I capetingi parteciparono a vario titolo a ben 7 spedizioni su 8 in Terra santa (fa eccezione la sesta crociata, che fu un'esclusiva di Federico II).

Tredici anni dopo la ingloriosa fine della VII crociata, il re santo di Francia ritentò la sorte. E anche se questa volta lasciò le mogli a casa, non rinunciò alla presenza dei fratelli.

Nel 1270, a sorpresa, la destinazione non fu l'Egitto, ma Tunisi. Una destinazione non proprio sulla strada per la Terrasanta.

La Tunisia si era da poco affrancata dalla dominazione degli Almohadi, ed era ora nelle mani degli Hafsidi. Praticamente il grande impero arabo, che deteneva mezza penisola iberica (è lo stesso impero del minareto di Siviglia) era in pieno disfacimento. 

Voci di corridoio, poi rivelatesi infondate, avevano fatto sapere che il califfo tunisino Muhammad al-Munstansir era disposto alla conversione al cristianesimo.

Poteva essere un buon momento per tentare di far crollare la roccaforte islamica (se ne facciamo una questione di fede) o per  approfittare di questa debolezza per colonizzarla (se ne facciamo una questione politico economica).

Luigi IX sapeva d'altronde che lo stesso califfo tunisino aveva preso accordi con il sultano d'Egitto Bayrbas, già informato dell'arrivo dei crociati. Il re francese, con l'appoggio dei Mongoli, avrebbe dunque colpito Tunisi, più debole,  per togliere alleati all'Egitto, già pronto ad una nuova battaglia.

A ciò si aggiungevano per Luigi motivi del tutto personali: appoggiare il consolidamento del regno di suo fratello Carlo, appena arrivato nel meridione d'Italia.  

Sappiamo con certezza che Carlo aveva avuto già un contatto diplomatico con il giovane emiro, ma non si può stabilire se l'idea della crociata a Tunisi sia stata sua o di Luigi.

L'emiro di Tunisi, al-Mustansir, dopo l'arrivo degli angioini in Sicilia, aveva infatti sospeso il pagamento del tributo annuo che doveva agli Svevi, e accolto molti dei simpatizzanti della casa degli Hohenstaufen.

Con o senza il fratello, dunque, è probabile che Carlo sarebbe dovuto comunque partire per Tunisi per proteggere il suo regno a sud. 

Comunque sia andata, per Carlo fu un successo.

Il re di Sicilia arrivò a Cartagine il 25 agosto. Preparava questa spedizione da mesi, e organizzò tutto fin nei minimi particolari: dal reclutamento dei marinai fino alle provvigioni, bestiame, vettovaglie. 

Suo fratello Luigi era morto da poche ore.  Mentre aspettava i rinforzi dalla Sicilia, si era diffusa un’epidemia nel campo cartaginese nella quale trovò la morte, assieme al suo secondo figlio Giovanni Tristano, nato a Damietta durante la crociata del 1248. 

Carlo, dunque, prese in mano il comando dell'impresa. Insieme a suo nipote Filippo III, ormai re di Francia, il 30 ottobre 1270 stipulò un trattato di pace. 

Il trattato fu tutto a favore di Carlo:

- il califfo tornò a versare il tributo annuo, addirittura doppio rispetto a quello dato agli svevi; 

- furono liberati tutti gli schiavi cristiani finora detenuti;

- fu concessa libertà di commercio a Tunisi per tutti gli stati convenuti (ovvero  Filippo III di Francia e Tibaldo II di Navarra, genero di Luigi IX e Carlo d'Angiò) con possibilità per gli occidentali di avere quartieri tutti per loro con chiese e monasteri per praticare il loro culto cristiano;

- al-Mustansir rinunciò ad ospitare i fedeli alla causa sveva.

Praticamente un gran successo economico politico, ma ben poco religioso. 

Sebbene fossero state concesse delle oasi al cristianesimo, non si ottenne di poter predicare liberamente la fede cristiana. 

 Oltre ad un bel trionfo diplomatico, Carlo portò a casa un preziosissmo dono da parte di al-Mustansir. 

Si tratta del Kitab al -Hawi di Razes, la più grande enciclopedia medica dell'antichità.

Trattava di tutti i rami della medicina ed elencava tutti i rimedi della scienza greca, siriana, ed araba antiche.

Il continens è stato definito uno dei libri di medicina più preziosi e interessanti dell'antichità, e la reputazione di al-Razi aveva fama di essere il più grande clinico islamico grazie alle storie di casi riportate nel suo immeso lavoro di scrittura.

Per il neo re di Sicilia questo dono valeva tanto oro quanto ne pesava.  

Come si è già detto, Carlo si portò dietro, per tutta la durata del suo Regno, la pesante eredità diFederico II. Un' eredità che si faceva sentire anche e soprattutto in ambito culturale,  laddove Federico si era distinto per apertura cosmopolita, produzione letteraria, mecenatismo. 

E Carlo non poteva ignorare che per conquistarsi il favore del popolo non doveva rappresentare solo il cavaliere che combatteva per la cristianità contro i ghibellini d'Italia. 

Il Kitab al -Hawi fu portato a Napoli, a Castel dell'Ovo, dove un maestro ebreo affiancato da due medici si occupò della traduzione. A Napoli Carlo organizzò un vero e proprio scriptorium che servisse alla copiatura della traduzione in latino dell'enciclopedia medica. Copisti italiani e francesi (di cui ci sono stati conservati i nomi nei registri) lavorarono fianco a fianco per la diffusione del manoscritto. La miniatura dell'opera, per esempio, sappiamo per certo che fu opera di Giovanni da Montecassino.

Divenne il libro più apprezzato ed utilizzato dai dottori medievali, sebbene l'opera tanto sponsorizzata di Carlo risultasse più politica che pratica.

Il testo era sì necessario alla formazione dei medici, ma ben poco facile da consultare. Alla Scuola medica salernitana già si utilizzavano  codici "da bisaccia", più maneggevoli, piuttosto che questi mastodontici volumi. I codici che circolavano a Bologna erano ricchi di illustrazioni, in modo da orientarne velocemente la consultazione. 

Il continens angioino napoletano invece,  a parte le miniature presenti nelle lettere capitali, che ricordavano in effetti gli argomenti trattati, fu pensato fitto fitto di scrittura, quindi non certo agevole.

Tuttavia, poco importa se non fu una prodotto di manifattura d'avanguardia: il suo valore è nel chiaro messaggio politico. Anche Carlo capiva che non poteva vantare una superiorità, ma quantomeno poteva  aspirare ad un giudizio più obiettivo sul piano culturale rispetto alla casa sveva.

Il prepotente conquistatore franco, dallo sguardo severo,  che aveva tagliato la testa a Corradino, era in grado di raffinatezze e lungimiranza intellettuale quanto i propri predecessori. Tutto sommato era  duca di Provenza: non è un punto da poco in un curriculum da aspirante nuovo protettore delle arti.

Carlo d’Angiò fu certamente più abile come cavaliere che come mecenate, e gli angioini in generale promossero più una propaganda iconografica che letteraria, almeno fino a Roberto il Saggio. 

C’è da dire però che nei suoi 20 anni di regno Carlo cercò di consolidare il potere cercando una nuova strada per il consenso.  L'ultimo fratello di Luigi IX aveva grandi mire di conquista. sognava un grande impero mediterraneo. La sua ambizione di combattente e conquistatore trovò l'ostacolo più grande nei continui focolai di protesta all'interno del Regno, primo fra tutti quello siciliano.


 Bibliografia 2.0

Gian Luca Borghese, Carlo I d'Angiò e il Mediterraneo: politica, diplomazia e commercio internazionale prima dei vespri, Ecole francaise de Rome 2008

Guido Iorio, Carlo I d'Angiò re di Sicilia: biografia politicamente scorretta di un “parigino” a Napoli, Gruppo Editoriale GEDI-L'Espresso S.p.A. 2018

Jean Richard, La grande storia delle crociate, vol. II, il Giornale (Biblioteca storica) 2005

Fabio Troncarelli, Manoscritti angioini e manosritti svevi  in Le eredità normanne sveve nell'età angioina. Dedalo 2004

https://storia.wiki/al-razi/

https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84522030/f19.item.zoom





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